La Madonna col Bambino in gloria e Santi

Autore: Alessandro Bonvicino, il Moretto (Brescia 1498 circa – 1554) Olio su tela  -  272 x 190 cm Provenienza: Brescia, Palazzo Vescovile  - 

Questa tela fu commissionata al Moretto dalla Congregazione dei Canonici Regolari di San Pietro in Alga. L’ordine era nato a Venezia sulla fine del Trecento e presente a Brescia già dal 1437 nell’attuale monastero di San Pietro in Oliveto.

L’opera decorava il primo altare di destra della chiesa, intitolato a Lorenzo Giustiniani, uno dei fondatori della Congregazione. che fu soppressa da papa Clemente IX nel 1668. Dopo il passaggio all’ordine dei Carmelitani Scalzi, a sua volta soppresso il 22 luglio 1798 su decreto della Repubblica Cisalpina, il complesso di San Pietro in Oliveto fu ceduto nel 1805 al Vescovo di Brescia per alloggiarvi il seminario.

Con la legge del 15 luglio 1886, il governo del neonato Stato Italiano decretò il passaggio del monastero al demanio pubblico. Le opere ivi contenute andarono quindi per lo più disperse. La tela del Moretto fu collocata in una sala adiacente alla sagrestia del Duomo Vecchio. Venne poi spostata nella cappella del Palazzo Vescovile di Brescia.

Il complesso soggetto iconografico fu riconosciuto già nel Seicento da Bernardino Faino. Lui fu il primo a indicare nella figura femminile in basso a destra l’allegoria della Sapienza Divina.

Fu poi Francesco Paglia nel suo Giardino della Pittura, preziosa guida ai tesori artistici della città di Brescia, a descrivere in maniera più approfondita la scena, i gesti, gli sguardi e l’intreccio del discorso dei personaggi.

L’episodio, suddiviso sulla tela in due sezioni, raffigura una visione della Divina Sapienza ricevuta da San Lorenzo Giustiniani negli anni della sua giovinezza. Lui stesso ne parla nel suo Fasciculus Amoris: “Finalmente mi apparve una fanciulla bellissima, più splendida del sole, più soave del balsamo ed il cui nome io ignoravo. […] Ella soggiunse che si chiamava ed era la Sapienza di Dio, quella stessa che nella pienezza dei tempi aveva preso forma per la riconciliazione dell’uomo”.

Il santo protagonista è raffigurato proprio al centro della sezione inferiore della tela, intento a scrivere su di un libro aperto sulle ginocchia. Le pagine riportano alcuni versetti tratti dal Libro della Sapienza: “Venne a me lo Spirito della Sapienza, che senza frode imparai e senza invidia io dono. Non nascondo le sue ricchezze ed inestinguibile è il suo splendore”.

Il suo sguardo è rivolto all’allegoria della Divina Sapienza, una donna riccamente vestita. Con la mano sinistra ella indica in alto il gruppo della Madonna col Bambino, seduta su di un trono di nubi sorretto dall’intreccio del fico e del corbezzolo. I due alberi rappresentano rispettivamente la dolcezza e il rigore della vera sapienza.

Opposta alla Sapienza è la figura di San Giovanni Evangelista, affiancato dal suo simbolo iconografico dell’aquila. Moretto lo rappresenta nel pieno di un’estasi mistica che lo porta a interrompere la scrittura della pergamena appoggiata alle sue ginocchia, riferimento al suo Libro dell’Apocalisse.

Sulla datazione della tela non si riscontra omogeneità da parte degli studiosi, che la collocano su di un arco temporale dall’anno 1520 al 1545.

Una cronologia più vicina agli anni Cinquanta viene suggerita da alcuni richiami ad altre opere del Moretto come la Pala Rovelli (1539) ma anche dalle e dai gioielli indossati dalla Sapienza, descritti minuziosamente per esaltare lo splendore dell’apparizione e che saranno elementi fondamentali per la poetica di alcuni allievi del Moretto, quali Luca Mombello e Agostino Galeazzi.

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